Non farà piacere al ministro dell'università Gelmini la pubblicazione dell'undicesimo rapporto del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario (Cnvsu). Solitamente attenta a mostrarsi felice di vivere nel migliore dei mondi possibili, ieri non ha proferito parola per commentare il rapporto presentato nella sede distaccata del suo ministero in Piazzale Kennedy a Roma
Al sistema universitario italiano il Cnvsu riconosce una tenuta di buon livello. Tra i 500 atenei inseriti nel World University Ranking l'Alma Mater di Bologna si piazza al 176° posto, seguono la Sapienza di Roma (190esimo posto) e Padova. Un piazzamento mediocre sul quale grava uno storico sottofinanziamento, pari allo 0,8 per cento del Pil, di poco superiore a Cile, Corea e Giappone e pari a quello della Repubblica Slovacca. Una situazione che andrà peggiorando quando i tagli di 1,3 miliardi al fondo ordinario per l'università, quelli al diritto allo studio (meno 60 per cento nel 2010) porteranno il sistema all'infarto.
I risultati del rapporto non si fermano tuttavia alla registrazione di un deficit strutturale. Il blocco del turn-over e il cervellotico sistema di reclutamento approntato dalla riforma universitaria creeranno un'emorragia dei docenti. Oggi quelli attivi sono 67 mila, l'età media degli ordinari è di 63 anni. Nel 2014 i pensionati saranno oltre 7 mila, tra di loro ci sarà il 32 per cento dei professori di fisica, ingegneria e architettura. Pochissimi verranno sostituiti, mentre i concorsi si conteranno con il contagocce. Al governo il presidente del Cnvsu Luigi Biggeri ha riconosciuto la diminuzione dei corsi di studio e dei docenti, ma ha anche detto che i tagli sono avvenuti in assenza di un disegno strategico sul futuro e sono basati «su compromessi tra gruppi interni di potere». Se non è la sconfessione dello spirito anti-baronale che il Ministro Gelmini ha attribuito alla propria riforma, poco ci manca.
Su questa realtà inquietante si abbatterà uno tsunami. Il Cnvsu registra il calo di 43 mila iscritti dal 2003 al 2009. Gli studenti al primo anno sono passati da 338 mila a 293 mila. Solo un «maturo» su due (il 47,7 per cento di chi termina la scuola) continua a studiare. Dove c'è lavoro, in qualsiasi forma, questi ragazzi preferiscono rinunciare all'università. Cresce nel frattempo una forte disparità tra i territori. Nelle provincie di Teramo, Bologna, Isernia e Rieti su 100 diplomati 80 si iscrivono all'università, mentre a Catania, Sondrio e Vercelli i valori oscillano tra il 40 e il 50 per cento. Gli studenti che hanno un voto di maturità superiore a 90 (sempre meno), e sono in condizioni economiche per farlo, si iscrivono alle università private, Luiss e Bocconi in testa.
La percezione del disastro aumenta quando si arriva alla lettura dei dati sui dottorati di ricerca. Gli iscritti ai corsi sono diminuiti di oltre un migliaio in un solo anno (oggi siamo a 12 mila), mentre si allarga il ricorso ai dottorati senza borsa che obbliga i giovani studiosi a pagare le tasse di iscrizione, senza alcun riconoscimento dei diritti fondamentali del lavoro. Solo il 37,3 per cento dei dottorandi, inoltre, si laurea in un ateneo diverso da quello del dottorato. Ed è solo in alcune sedi che sfuggono alla pratica localistica che prepara alla carriera universitaria: si diventa ricercatori a condizione di servire un solo padrone.
Un panorama bloccato in cui si ritarda la laurea, mentre sale l'età di accesso al dottorato che sfiora i 29 anni. E l'analisi del Cnvsu non ha ancora registrato che sono sempre più i dipendenti pubblici a fare il dottorato. L'ateneo risparmia così lo stipendio, pagato da un'altra amministrazione. Questa situazione danneggia le donne, più numerose degli uomini. Viene infine registrata la netta disparità nella retribuzione con gli uomini: 600 euro per chi si è addottorato nel 2004 nelle discipline mediche e 400 per chi ha studiato scienze economiche, statistiche e giuridiche. È così che si cancella il futuro, e la giustizia, in un paese.
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