ARTICOLO 34 della Costituzione

[...] I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi [...]

domenica 15 luglio 2007

Riflessioni introduttive all'attività di rappresentanza

Prima che insegnanti e studenti
si è cittadini e uomini
(Ferdinando Giordano)



L’espressione «ricerca», in sé costitutiva del genere umano e di ogni individuo pensante, ha assunto col tempo uno strano slittamento semantico: se è vero che una parola conduce nella nostra mente un’immediata immagine figurativa di ciò cui essa rimanda nella realtà, alla parola «ricerca» il collegamento più immediato vuole oggi che ci balenino tra le idee sagome di matracci, alambicchi, provette, microscopi, camici bianchi. Il sapere umanistico sembra insomma, nell’immaginario collettivo, estraneo ai principi, agli sforzi, anche alle impossibilità che il mondo della ricerca quotidianamente affronta: difficile, insomma, la cognizione di un libro, di un testo, di un pensiero o di un’opera d’arte come oggetto di ricerca. L’umanesimo esce così a testa bassa dal campo del dibattito sulla libertà di ricerca, quasi l’etica fosse solo bioetica, e in tal modo i nostri saperi vedono calare di fronte a sé il sipario della libertà. Se gli intellettuali di primo Novecento avvertivano, in un’età già allora di crisi e di svolta, il «bisogno di far da guida», ora questo bisogno pare essersi dissolto e, con esso, anche il collettivo interesse nel ripartire dalle lettere e dalla filosofia per un risveglio sociale di portata generale.
Ricerca, libertà, umanesimo, guida: tutto questo si riflette inevitabilmente nella nostra Facoltà e nella sua componente studentesca. Siamo megafoni del dibattito, ma non ne siamo protagonisti, facciamo ricerca sulla ricerca d’altri e finiamo per essere relegati a semiperiferia del mondo universitario, luogo di passaggio e di lontani saperi, fenomenale punto di scambio ma assai poco di propulsione del nuovo. Portogallo del sapere, restiamo sì testa degli Atenei e delle Facoltà, vantandoci di antichi splendori e vecchi rinomati professori, ma nel nostro vetusto e immaginario impero perdiamo ogni giorno coscienza e credibilità, tra la frustrazione dello studente già segnato come futuro «professore di lettere» e l’iperidentità dell’ordinario da decenni immerso nelle brillanti mitologie accademiche.
I meriti dei grandi movimenti studenteschi degli anni ’60 e ’70 hanno dovuto fare i conti con le esigenze omologanti della postmodernità, e il tutto è andato a perdere per i nostri indirizzi umanistici, ibridi sensazionali tra massificazione e nicchia, interesse enciclopedico e disinteresse da posto fisso, allineamento conservatore e ribellione rivoluzionaria, in una parola: coscienza critica. Bisogna ripartire dalla componente studentesca della nostra Facoltà, ripartire cioè proprio da quello «scandalo del contraddirci» che ci ha portato, nel mondo dei reality e delle bombe intelligenti, a operare una scelta di sfida, quale che sia la nostra strada futura: la scelta del testo, del dipinto, della comunicazione storica e filosofica, la vertiginosa scelta umanistica!
Il fronte dell’accademismo sembra ancora piuttosto compatto: abbiamo forse abbattuto i vecchi baronati, ma non di rado ci ritroviamo a percorrere i sentieri malcerti di oscure contee o di lontani marchesati, siano essi code, documenti mancati, orari sovrapposti, scarse informazioni e quant’altro. Né giovano, del resto, quei provvedimenti economici che, come si sa, basterebbero soli a garantire un tasso di vivibilità universitaria superiore a quello attuale, un riconoscimento concreto della ricerca umanistica e letteraria in quanto ricerca dignitosa. Le promesse di un governo di centro-sinistra che pareva levarsi a bandiera dei saperi sono per ora mancate: la libertà di ricerca va difesa sì contro gli integralismi reazionari, ma anche con un’attiva iniziativa di finanziamento, ahinoi finora assente. Eppure la libertà di ricerca è un punto cardine che sta a cuore a tutti noi. Da studenti umanisti, è una riflessione che non può non averci mai sfiorato: oggi assistiamo, con frequenza quasi giornaliera, a più o meno volgari tentativi di limitazione integralista all’entusiasmo della libera ricerca; tra i domenicali interventi del capo di una chiesa che, come profeticamente pensava Pasolini, «è ormai all’opposizione», e le incursioni movimentiste e militarizzate nelle nostre caselle studentesche di posta elettronica passa un intervallo davvero ridotto. La strategia si compie, in giacca e cravatta, dai media di massa sino ai Consigli di Facoltà, la capillarità è estrema, e il sapere umanistico è eretto a bandiera e fantasma di una sola parte, che in nome di una isolativa comunione e di una liberazione dalla dubbia profondità antifascista, si pone ben altro obiettivo che gli studenti.
Non è un caso che la rappresentanza studentesca nella Facoltà di Lettere e Filosofia sia stata, negli ultimi tre anni, monopolio delle forze della destra ultracattolica o, in modo assai meno capillare, di una sinistra sovietica e nostalgica stalinista che, se non serve al Paese, men che meno ha ragion d’essere in Ateneo. Due rappresentanze assai simili, in realtà: come fosse nell’interesse della comunità studentesca l’essere rappresentata da militanti partitico-movimentisti che portano programmaticamente nei Consigli di Coordinamento Didattico e di Facoltà vuoi l’enciclica di Ratzinger, vuoi il libretto rosso di Mao.
Tre anni fa, quando si tennero le elezioni studentesche nel 2004, Sinistra Universitaria non era presente nella nostra Facoltà: si trattava di un gruppo ancora a ranghi ridotti e in fieri, che già cresceva e lavorava con costanza per le molte iniziative culturali e di spettacolo di cui tutti noi, in questi mesi, siamo venuti a conoscenza. Mancava però una legittimazione istituzionale, ciò che solo un’elezione democratica può conferire: una legittimazione, sia ben chiaro, che Sinistra Universitaria cerca sul campo, tra gli studenti e con gli studenti, evitando di riproporre il professore o il preside in cattedra come modello di comunità che s’interroga sull’attuale condizione del sistema universitario. Ai docenti il loro ruolo di approfondimento culturale e di ricerca, di cui sicuramente, nella prospettiva di future iniziative, saremo i primi ad avvalerci; agli studenti rappresentanti il ruolo di dialogare in prima persona con gli studenti elettori: il concreto quotidiano è il nostro faro, la voce dell’esperienza personale di ciascuno degli oltre sedicimila iscritti alla nostra Facoltà. In tal senso non disturberemo sotto elezioni il professor Franzini, nostro preside di Facoltà, se non per illustrarci l’affascinante filosofia del bello, né mai ci comporteremo come il sindacato che, dovendo eleggere i propri dirigenti, chiami il presidente di Confindustria a relazionare sullo stato complessivo del mondo del lavoro.
Lavoro «sindacale» dei rappresentanti studenteschi significa lavoro concreto, effettivo, dialogo costante con tutte le parti in causa per trovare le soluzioni più adatte sulle esigenze più immediate di tutti noi: piani di studio, curricula, appelli, progetto Erasmus, mobilità, e l’elenco, ahinoi lo sappiamo bene, potrebbe essere assai più denso. La nostra scelta è, insomma, radicalmente apartitica, ma positivamente politica: il nostro punto di riferimento, la Costituzione Italiana, ci pone i valori essenziali e civili entro i quali operiamo e, nel contempo, anima democraticamente le componenti che fanno del nostro progetto un esperimento unico e sensazionale nel panorama universitario italiano. Ci riconosciamo, «a sinistra», nella piena coscienza che il nostro non essere «iscritti» o militanti di partito possa tradursi in un’efficace arma di pura e ancor più legittima rappresentatività studentesca; al momento delle urne politiche, ci ritroviamo sotto il cappello della medesima coalizione, ma ci animano anche spiriti assai diversi, identità ed esperienze variegate, che conducono a riconoscere facilmente in noi tutte le sfumature della stravagante e per certi tratti incomprensibile sinistra italiana. Senza velleitarismi, però, abbiamo evitato qualsiasi accordo elettorale con le minoranze fortemente partitizzate che avrebbero richiesto come contropartita che, in questa nostra pagina introduttiva, già abbastanza densa e forse illeggibile, si tessessero elogi del lager siberiano o di chissà quale regime asiatico. Tutto ciò è fonte di estrema chiarezza, di cristallina trasparenza della nostra identità politica: ma, tutto ciò è anche – al di là di un discorso di presentabilità – superfluo e fors’anche tremendamente noioso.
Non è nelle trincee ideologiche che imposteremo la nostra rappresentanza, e neppure la nostra campagna elettorale. Non ci interessa lo scontro frontale, l’insulto, il battibecco, non vogliamo essere maldestri imitatori della nostra mediocre classe politica: in questo senso, la nostra scelta si fa apolitica, ma proprio – sia pure paradossalmente – in quanto scelta politica, di differenziazione radicale dalle altre liste che ambiscono alla rappresentanza studentesca. La propensione al dialogo e al confronto è lo spirito con cui abbiamo stilato le pagine programmatiche che seguono: proposte di buon senso che, se accolte senza i muri del pregiudizio ghettizzante, potranno trovare un sereno accordo tra tutte le componenti che parteciperanno all’agone elettorale.
Siamo partiti dai principi della ricerca umanistica e approdiamo ora a un programma di rappresentanza studentesca. Una strada tortuosa, è vero, tale è la distanza che si è venuta a creare tra studente e mondo dello studio universitario: ma è una strada che può essere percorsa anche «passando da fuori», da quel tessuto sociale che si allontana sempre più dai nostri studi filosofico-letterari. Noi, studenti universitari, figure già uscite dall’inconsapevolezza adolescenziale e non ancora risucchiate nell’autoreferenzialità accademica, dobbiamo provare, da sinistra, a ricucire questo delicato tessuto, «perché prima che insegnanti e studenti si è cittadini e uomini».
(a cura di Giuseppe Alonzo)

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